Jul 4, 2022

La storia della telefonia: intervista a Saverio Covelli

La storia della telefonia: intervista a Saverio Covelli

Oggi parliamo di telefonia con Saverio Covelli, ex tecnico telefonico. Più di trent’anni di esperienza nella gestione delle centrali telefoniche, iniziata su quelle elettromeccaniche dell’Eni e proseguita con l’arrivo della fibra ottica con Albacom. Una preziosa testimonianza dell’innovazione tecnologica e che ci ha portati alla banda larga e alle soluzioni VoIP di oggi. Il mondo è cambiato e le telecomunicazioni hanno dato il loro contributo a plasmarlo.

Pettinare i cavi

Ho iniziato a lavorare in Eni nel ‘73, dove montavamo le centrali. Siccome era una azienda davvero grande, Eni aveva deciso di essere autonoma per le proprie telecomunicazioni e si era costruita le proprie centrali telefoniche da 6-7 mila numeri. Io venivo da un’azienda che aveva aperto un ex dipendente della GTE Telecomunicazioni S.p.A. dove facevamo gli strowger, i primi commutatori automatici.

Ho iniziato da zero a montare le loro centrali. Immaginate un’enorme sala, lunga trenta metri, completamente vuota: prima montavamo i telai, poi allacciavamo tutti i cavi. Era un lavoro immenso. Alle strutture metalliche dovevano arrivare migliaia di cavi avvolti insieme, che noi dovevamo separare minuziosamente. I cavi principali che arrivavano alla centrale devano essere pettinati: dovevamo aprirli e separare i singoli fili di rame, come le dita di una mano, per poi impacchettarli ogni venti centimetri. era un lavoro pazzesco: passavamo giorni e giorni a impostarli. In gergo si diceva “pettinare i cavi” perché quella che prima era una lunga massa compatta di cavi, venivano divisi in ciocche di fili ordinati, ciascuno da collegare alla struttura. Solo dopo avremmo montato gli strowger. Ci volevano mesi, eh!

Erano delle vere opere d’arte! A lavoro terminato non si riusciva quasi a dire se la struttura rimanesse in piedi per la massa di fili ordinati o per il telaio metallico a cui si appoggiavano. La numerazione dei fili era distinta per colore: c’erano i cavi da cinque coppie, da dieci coppie, cento coppie, mille coppie. gli operai imparavano prima a legare i cavi su queste passerelle; poi imparavano a dividerli minuziosamente e a portarli al telaio; poi a collegarli al telaio.

Quando si entrava in una centrale elettromeccanica quello che colpiva era il baccano: un concerto di molle, alberi selettori, campanelli e componenti meccaniche in chiassoso movimento. C’era da impazzire appena entrati; poi, col tempo ci si abituava al rumore, a riconoscere e capire i singoli suoni. I telai erano disposti in file e corridoi paralleli: una libreria meccanica. Ogni fila era a un metro di distanza dall’altra. più era la potenza a disposizione di una centrale, più i telai e i numeri associati.

Lo strowger, cento anni di automazione

Lo strowger, il commutatore automatico, è il meccanismo che nelle prime centraline elettromeccaniche permetteva di collegare gli apparecchi durante una telefonata. Ogni cifra che veniva selezionata sulla ghiera rotante del telefono faceva alzare e ruotare un selettore nella centrale elettromeccanica, un braccetto meccanico che si alzava e ruotava in un alloggio circolare fino a posizionarsi sul primo contatto libero per ciascuna cifra del numero di telefono composto. Una volta composto l’intero numero del destinatario, tutti i selettori si posizionavano sul contatto corrispondente e facevano partire la chiamata: a seconda che il numero chiamato fosse libero o meno, la centralina telefonica inviava al telefono del chiamante un diverso segnale acustico.

Cablare gli strowger era un lavoro da artigiani: il giuntista esperto diventava un maestro a usare pinzette e forbici. una volta completata la cablatura, la centrale era pronta per servire i telefoni da casa. È grazie allo strowger, che si è riusciti a gestire le chiamate in automatico. Prima c’era bisogno di un’operatrice al centralino per chiudere il circuito e far partire la telefonata.

Cercatori, selettori e macchine segnali: come funzionava una chiamata

Se da casa aveste alzato la cornetta, i macchinari sarebbero stati pronti ad attendere che componeste il numero per far partire la telefonata. Con la cornetta sollevata, si chiudeva il circuito - ancora funziona così -, il relè dell’utente avrebbe riconosciuto il suo numero. Ogni singolo utente aveva il suo relè. Una volta composta la prima cifra del numero di telefono, il primo relè “cercatore” metteva in funzione il primo selettore libero, che doveva sollevarsi di tanti livelli quanto era la cifra selezionata dal chiamante e ruotare fino al primo contatto libero. Arrivato “al piano”, il selettore aveva a disposizione dieci fermate per la sua rotazione: alla prima libera si sarebbe fermato.

Al primo selettore seguivano gli altri in sequenza, azionati dalle successive cifre composte dal chiamante. Il connettore chiudeva la procedura e andava a spostarsi esattamente sulle due ultime cifre del destinatario per far partire la chiamata. Al chiamante veniva inviato indietro il tono di chiamata, che poteva essere libero o occupato. Allora non c’erano segreterie e avvisi vari: se il numero fosse stato occupato si sarebbe potuto solo riprovare più tardi.

La macchina dei segnali era davvero affascinante: era un po’ come l’anima del meccanismo elettromeccanico, perché dava i toni del segnale. Senza questi, un utente non avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo. Grazie alla macchina segnale avresti potuto sentire il classico segnale di linea libera “tu-tu-tu”, e capire che era possibile effettuare la chiamata.

Anche la parte elettrica, tutto sommato era semplice. Per le telefonate, in centrale giravano solo quattro fili: A e B, che erano quelli della conversazione; il filo C che faceva la prova di connessione col relè; il quarto filo era quello di servizio, che portava l’informazione necessaria per capire se l’utente fosse abilitato alla teleselezione.

Appesi a un filo

I problemi c’erano quando la chiamata non si concludeva correttamente. Poteva succedere che il destinatario non chiudesse bene la chiamata, riagganciando male la cornetta. In questo caso, il chiamante non poteva riavere la linea libera, ma in centrale il problema non era da meno perché per noi restavano bloccati i macchinari! E se questo fosse successo nel week end, il problema sarebbe stato anche più grave. Lavoravamo anche di sabato per evitare che ci fosse un mal funzionamento in centrale per troppo tempo.

In centrale c’erano squadre fisse di meccanici per la manutenzione dei banchi elettromeccanici, che diventavano neri con l’usura. Ogni giorno avevano i contatti elettrici ossidati da pulire. Quando c’era da pulire i selettori, si staccavano i fili del banco, si pulivano con delle spazzole e si ricollegavano. I manutentori più bravi staccavano fino a 400 fili all’ora; poi doveva passare il tecnico a risaldarli tutti: quando è stato il mio turno di imparare, mi hanno messo a saldare una settimana intera. e le saldature dovevano essere fatte bene! A fine lavoro, il committente passava la mano per verificare: se si fosse graffiato avremmo passato un brutto quarto d’ora. Le saldature dovevano essere impeccabili. tutto doveva essere in perfetto ordine perché noi manutentori dovevamo essere in grado di ritrovare un solo filo in mezzo a tutti se si fosse verificato il guasto su una sola linea. altro che ago nel pagliaio.

Anche per i lavori sulle centraline periferiche, la manutenzione era più un’arte che una scienza: con uno spazzolino pulivamo i contatti, con una pinzetta si registrava una molla perché restasse bene in tensione, e il più delle volte il meccanismo tornava a funzionare. In caso contrario, avremmo smontato il pezzo per portarlo in centrale, dove se ne sarebbe occupata la squadra dei meccanici. Non eravamo tanti: due meccanici fissi tutti i giorni; un paio di tecnici, uno fisso in centrale, l’altro che ero io, a girare per sopralluoghi sulle centrali periferiche o dai clienti.

Ecco, io che ho iniziato a lavorare sulle centraline elettromeccaniche ho potuto vedere davvero cos’era la commutazione. La cosa veramente bella, nella complessità della centrale elettromeccanica, era che noi eravamo in grado di vedere cosa non stesse funzionando. Quando c’era un guasto io dovevo seguirlo fino a trovare il relè che dava problemi. Oggi al computer, un guasto te lo segnala il software: anche io ho fatto in tempo a usarli. Sono comodi, certo, ma non si riesce a capire quale sia la macchina che non funziona senza affidarsi al computer. Prima era affascinante riuscire a capire quale relè avesse problemi di funzionamento.

Quando il centralino è diventato automatico

Quando il centralino è diventato automatico il meccanismo è cambiato. Il centralino preparava l’intero numero di telefono e solo dopo lo inviava ai relè in blocco, per comporre il numero. Se una sola cifra fosse stata sbagliata, la chiamata non sarebbe partita. Noi tecnici in centrale avremmo dovuto capire cosa non avesse funzionato nella commutazione: se il problema fosse stato causato dal solito relè inaffidabile o se se ne fosse guastato un altro. Il problema poteva anche essere meccanico, magari perché si era rotto un braccetto del selettore.

Allora i guasti potevano anche essere divertenti: le comunicazioni si mescolavano e due chiamate iniziavano a parlarsi tra di loro. avreste dovuto sentirle: quattro persone che a un certo punto sentivano la loro conversazione invasa da delle voci e si domandavano cosa stesse succedendo dall’altro capo del filo, come se invece del salotto di casa fossero stati seduti ai tavolini di un bar di piazza.

Vedere la commutazione prima che sparisse

Due chiamate insieme? anche più di due! Potevano anche mescolarsi tutte le chiamate che condividevano lo stesso livello sul selettore. E il problema rimaneva fino a che l’operatore di centrale non andava a individuare la macchina mal funzionante e non andava a sbloccarla, con maniere piuttosto brusche; non è che si andasse tanto per il sottile: la sbloccava proprio meccanicamente, con delle botte secche alla macchina e liberava tutti gli utenti. Avresti sentito un tonfo sordo all’unisono su tutte le macchine.

I rumori della centrale erano sempre quelli: capivamo a orecchio se qualcosa funzionasse, se la giornata era tranquilla o se le telefonate erano numerose. I rumori scandivano le nostre giornate lavorative. Un rumore improvviso su più macchine non era certo un buon segnale: qualcosa doveva aver funzionato male o aver ripreso a funzionare all’improvviso.

C’era tutta una regolazione di precisione. noi manutentori individuavamo il guasto dalla segnalazione che ricevevamo. Il permutatore - che collega le apparecchiature all'interno della centralina ai cavi e alle apparecchiature degli abbonati - ci indicava se il problema fosse sulla rete o nella nostra centralina, dopodiché facevamo alla svelta a controllare: ci sostituivamo all’apparecchio dell’utente per la verifica. Di solito facevamo tutte le prove di sabato, perché così potevamo fermare telai interi grazie al basso traffico di telefonate; banco per banco, dovevamo provare ogni posizione di ogni selettore; ciascuno dei dieci livelli per le dieci posizioni di rotazione: tutte e cento le macchine associate. Adesso basta un Pc, prima dovevamo fare tutto a mano e portare fisicamente un filo da una parte all’altra.

Non ti dico quando poi c’erano troppi intasamenti. Il capo centrale doveva studiarsi dei percorsi alternativi di cablaggio. funzionava come col traffico stradale: se su una via (un selettore) c’era troppo traffico, ci toccava spostare il percorso (i numeri) su un’altra strada (un altro selettore). Spostavamo fisicamente i cavi per spostare il traffico. Quello che per voi erano linee intasate e problemi a telefonare, per noi erano cavi e cavi da spostare. facevamo la permuta, tra i blocchi di permutazione e le linee degli abbonati, per smistare il traffico diversamente. A differenza di oggi, noi potevamo vedere cos’era una commutazione, con i relè che entravano in funzione; e lo strumento necessario per questo era una semplice lampadina. Non avevamo molti altri strumenti in mano: io dovevo “solo” cercare un positivo e un negativo.

Un fiuto per le emergenze

Alla fine, i tipi di guasto possibili erano pochi e semplici. O non si muoveva bene un braccetto del selettore, quindi un problema meccanico, o non si chiudeva un circuito elettrico, magari perché un filo non era collegato bene o qualcosa si era ossidato. Due tipi di problemi semplici che se si componevano bene potevano farci passare ore e ore a cercare e riparare. E questo solo da noi in centrale.

Il guasto esterno peggiore possibile era che una ruspa rovinasse i cavi. C'era da fare gli scongiuri per quello: da qualche parte in città aprivano un cantiere, magari per riparare dei tubi del gas, e un operaio disattento ci tranciava di netto i collegamenti. Se li avesse tagliati, il problema non sarebbe stato così grave: trovato il punto, saremmo usciti a giuntarli di nuovo. Ma se li avesse schiacciati, magari passandoci sopra o nel compattare il terreno con la pala, allora tutte le linee si sarebbero confuse insieme. Cento linee unite insieme vuol dire che da noi in centrale, immediatamente cento selettori si sarebbero di botto in una volta sola. Beh, dopo lo spavento, noi avremmo capito bene l’entità del danno.

Non esagero se dico che dalla nostra postazione abbiamo anche visto passare la Storia. Quella vera, in diretta.


Quando fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro noi eravamo di turno in centrale. Sentimmo un tonfo sordo all’improvviso: tutte le macchine si erano messe a funzionare all’unisono.


Ora, siccome una macchina gestiva più linee, se tutte avessero voluto telefonare allo stesso momento si sarebbe creato un intasamento: solo una linea avrebbe comunicato, tutte le altre non avrebbero trovato nemmeno il segnale di libero. In quel caso, alzata la cornetta la linea sarebbe stata completamente muta. Un tilt totale.

Quel giorno avevamo capito che era successo qualcosa di grave. Se fosse stato un cavo di rete, sarebbe bastato isolare la rete dal permutatore per ripristinare la centrale. Invece no, le macchine erano tutte su. Effettuammo dei controlli su alcune linee e ci accorgemmo che tutti parlavano del ritrovamento di Aldo Moro! (l’operatore di centrale aveva due scelte in casi di emergenza: o chiudere di forza le comunicazioni, o ascoltare parte della chiamata per capire se ci fosse un’emergenza). Non ti nego, che in normali condizioni di manutenzione, una chiamata troppo lunga, talvolta la si interrompeva. Gli abbonati avrebbero sempre potuto parlare in un secondo momento: noi avevamo le manutenzioni da portare a termine, altrimenti i guasti si sarebbero protratti a lungo.

Però quando tutte le linee stanno parlando, cosa fai? Chiudi tutta la centrale? Avremmo anche potuto farlo, ma era chiaro che ci fosse qualcosa di molto serio in corso. Con un’anomalia del genere non puoi ragionare di manutenzioni: l’impianto deve garantire la comunicazione per il Paese. Solo la nostra centrale dell’Eni, a San Donato Milanese, gestiva 10 mila numeri, capirai la concitazione: gli impiegati, i dirigenti e tutti gli abbonati che avevano iniziato a telefonarsi per diffondere la notizia. si chiamavano tra di loro; chiamavano fuori; li chiamavano da fuori. tutti avevano qualcosa da dire di urgente e importante. La nostra centrale non gestiva gli utenti di un’unica zona: a Milano c’erano diverse centrali secondarie connesse. Erano tutte collegate alla nostra centrale di San Donato. E non erano solo a Milano; arrivavamo anche in Sicilia. Eni aveva un servizio di comunicazione proprio.

Eni aveva un vantaggio operativo a installare le reti telefoniche: dove scavava per far passare il gas, faceva passare anche le linee telefoniche. Non solo da noi: in Tunisia, per esempio, dove scavava per le tubature, installava anche i cavi e le centraline telefoniche. Riuscivamo a parlare con le nostre sedi a Tunisi solo componendo tre cifre di numero telefonico sulla rete proprietaria dell’Eni. Poi chiaro, ad allacciare la nostra rete con la Telecom della Tunisia, avremmo potuto parlare anche con gli utenti tunisini. Eni poteva anche affittare la sua rete telefonica proprietaria, cosa che ha fatto in seguito: abbiamo gestito anche clienti importanti, come Mediaset.

Dall’elettromeccanico all’elettronica: una formazione continua

Io arrivavo dall’elettromeccanico. all’inizio le centraline erano così: componenti meccaniche, come i selettori, azionate da parti elettroniche, come i relè e le centraline automatiche. Ero anche piuttosto bravo.

A un certo punto Eni ha modernizzato le centrali: da quelle elettromeccaniche a quelle elettroniche. E ci ha spediti a seguire corsi di elettronica. Ho seguito una quantità enorme di corsi di elettronica! Usavo i primi pc quando ancora non si usava windows ma MS-DOS. A fine anni Ottanta ho partecipato a un corso all’Aquila dove avevano le idee chiare: il tecnico SIP ci aveva spiegato che puntavano a un mercato dove ogni componente della famiglia avesse un telefono a disposizione. e magari un pc. Più di trent’anni dopo, direi che ci hanno preso.

Quando abbiamo iniziato a collaborare con Montedison, loro già impiegavano le centraline semi elettroniche dell’Eriksson. A metà anni Novanta siamo diventati Albacom, in partnership con British Telecom, e ci siamo concentrati sui grandi clienti industriali. Passati all’elettronica, gestivamo tutto tramite computer e il nostro lavoro è radicalmente cambiato. sono cambiate anche le linee degli utenti: siamo passati al digitale e abbiamo compresso il segnale.

Ancora quando le centrali erano elettromeccaniche ci eravamo accorti di una cosa curiosa. Al sabato, quando c’era minor traffico telefonico, alcune linee restavano collegate anche molto a lungo. Con le verifiche che avevamo fatto ci eravamo accorti che non c’erano conversazioni ma suoni e rumori in continuazione. Le aziende stavano cominciando a inviarsi dati al posto della voce. per loro era economico trasmettere sulle nostre linee telefoniche, ma per noi era un problema perché occupavano le linee troppo a lungo. Non era una situazione sostenibile con quella tecnologia. Stavano nascendo le telecomunicazioni per l’invio di dati, come la conosciamo oggi.

Se ci pensate, oggi la voce è una piccola parte di quello che trasmettiamo. Anzi, oggi la voce stessa è passata al formato digitale - e con il VoIP si riescono a sfruttare tutti i vantaggi della banda larga. Una volta c’era la filodiffusione: componevi un numero e potevi ascoltare la musica, al posto della voce. A un certo punto, le imprese si sono accorte che, come si trasmetteva la musica, si potevano anche trasmettere i dati. A fine mese avevano un gran bel risparmio. Certo, non potevano avere un’alta qualità della trasmissione: il doppino in rame era il collo di bottiglia della comunicazione. ma era una soluzione iniziale a basso costo.

Eriksson aveva iniziato a produrre cavi PCM e a digitalizzare la voce per far passare molte più informazioni sullo stesso cavo. Anche per questo, noi e Telecom abbiamo iniziato a scambiarci il servizio in caso di malfunzionamento, in modo da garantire un servizio sempre continuo per tutti.

Con i PCM a 32 bit e la digitalizzazione della voce si sono potuti aggiungere un sacco di servizi. In questo modo si arrivava ad avere 30 canali per parlare e 2 come canali di servizio. Le imprese, ad esempio, iniziavano a installare le prime segreterie telefoniche, alcune anche con i centralini di direzione, che permettevano di inoltrare le chiamate ai vari interni. Lì a volte i clienti non sapevano bene cosa avessero comprato e a noi toccava fargli da supporto per verificare quali funzioni avesse il modello. Certo, con l’aumento dell’uso dei dati, il collo di bottiglia restava il cavo: potevamo avere tutte le centrali più avanzate, ma il limite era quello. Tanto che poi abbiamo iniziato a stendere i cavi in fibra ottica.

Con l’arrivo dell’elettronica coesistevano i telefoni analogici e quelli digitali, che però non portavano ancora internet. Io ho fatto a tempo a montare anche le centrali elettroniche. non dovevo più andare ad attaccare cavi. Era diventato un lavoro di configurazione al computer: dovevo impostare tutti i parametri e lanciare il comando. Non era più necessario andare sempre in centrale per la configurazione. Poi, io ci andavo lo stesso: nelle centrali bisogna sempre andare perché comunque le schede che sostituiscono i relè sono lì.

Ricordo che la prima volta che sono uscito a verificare una centralina dell’Agip sono rimasto meravigliato: erano solo batterie elettriche a non finire! In un unico armadietto c’erano tutte le schede per i numeri. Con le schede era tutta un’altra cosa: in caso di guasto, anche a notte fonda, mi sarebbe bastato accendere il pc per operare da casa. Niente più uscite in emergenza per la città nel cuore della notte! Non funzionava una linea fax? nessun problema, col pc facevo tutto. Mi collegavo, verificavo quale fosse l’utente e se il problema fosse stato cronico, avrei potuto valutare se spostarlo su una linea più adatta, nel caso i dati fossero troppo compressati. Magari solo il tempo di modificare il nostro cavo. Poteva anche capitare che ci costasse meno spedire il segnale all’estero e rimandarlo al destinatario da lì.

La differenza tra un tecnico di oggi e uno di ieri è proprio questa: oggi un tecnico si collega, vede che un cavo ha qualche problema, lo blocca, devia il traffico su qualche altro percorso, stando attento a che non si sovraccarichino. l’intervento è di sicuro più rapido. Si ragiona con 1 e 0. Noi invece pensavamo in negativo e positivo, e ci toccava verificare gli allacci elettrici. E, all’inizio, anche le componenti meccaniche. E quando c’era un guasto in centrale, a qualunque ora toccava andarci. Era davvero un altro mondo.

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