Jul 15, 2022

Le foto del telescopio James Webb: una meraviglia continua, dalle stelle ai nostri schermi

Le foto del telescopio James Webb: una meraviglia continua, dalle stelle ai nostri schermi.

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Tanto tempo fa, in una galassia lontana.

Dopo milioni di anni, due atomi si scontrano da qualche parte al centro di una giovane stella. Una carambola di fusioni si innesca dal loro impatto: l’idrogeno inizia a fondersi in elio e una piccola parte della sua massa diventa raggi gamma, che scaldano la stella ad ogni impatto con gli altri atomi sul loro percorso. Solo una parte della loro energia arriva in superfice: da lì, i fotoni iniziano il loro lungo, rettilineo viaggio nello spazio. Miliardi di anni dopo, il loro cammino, deviato dalla massa delle galassie che hanno sfiorato, è finito su uno specchio. Un freddissimo specchio esagonale lontano un milione e mezzo di chilometri dalla terra.

Le prime immagini che il James Webb Space Telescope (JWST) ci ha inviato hanno meravigliato il mondo. Ciascuna è solo un’anteprima di quello che potremo fare con uno strumento così avanzato, una volta che uomini e algoritmi impareranno a usarlo al meglio.

Cinque foto, ciascuna affascinante per un motivo diverso.

Una luce violacea illumina il centro di una nebulosa azzurro-arancione. Quello che nelle foto precedenti sembrava il residuo di una stella a fine della sua vita, si rivela un sistema binario, al centro di NGC3132, la Nebulosa Anello del Sud. La stella più tenue della coppia, ora visibile grazie al JWST, è l’origine della nebulosa: dai suoi strati esterni, scagliati nello spazio in migliaia di anni, si è formata la nebulosa, rischiarata dai raggi ultravioletti del suo nucleo scoperto.

Una quantità impressionante di stelle traspare dal velo nella sezione a nord ovest della Nebulosa Eta Carinae. I raggi del Gruppo Aperto, un insieme di giovani stelle coetanee, si riescono finalmente a fare spazio tra le nebbie, grazie al NIRCam, la telecamera a infrarossi del nuovo telescopio.

Quattro galassie danzano legate dalla loro gravità a 290 milioni di anni luce da noi. Una quinta, più vicina completa la foto più grande del JWST: centocinquanta milioni di pixel compongono una foto grande come un quinto del diametro della luna. Per la prima volta, si riesce a distinguere la loro struttura: il nucleo più luminoso, i bracci a spirale, le nubi di gas, in un dettaglio che le fa sembrare simulate.

Lo spettro di trasmissione non sembrerebbe avere alcuna importanza. Sennonché il grafico, che rivela la presenza di acqua, si riferisce a WASP 96 b, un gigante gassoso a più di mille anni luce dalla terra. Quello che è straordinario, è che grazie alla sensibilità del NIRISS, è possibile catturare i raggi del vicino infrarosso ed eseguirne la spettroscopia: WASP 96 b, scoperto solo nel 2013, ci ha rivelato essere un gigante gassoso, con una massa pari a metà quella di Giove e con un’orbita di soli tre giorni e mezzo attorno alla sua stella a un nono della distanza di Mercurio dal Sole.

Migliaia di galassie brillano in una porzione di spazio grande quanto un granello di sabbia tenuto sulla punta di un dito a distanza del braccio. A cinque miliardi di anni luce, SMACS, un ammasso di galassie nella costellazione del Pesce volante, distorce l’immagine di quelle che sembrerebbero loro vicine, facendole sembrare dei solchi su un disco. A tradire la loro distanza reale, il red shift, quello spostamento verso la banda del rosso del colore della luce per gli oggetti che, quanto più distanti, tanto più si allontanano velocemente da chi li osserva. La prima immagine inviata dal JWST è forse la più suggestiva. Il suo primo “Campo Profondo” abbraccia una porzione di Spazio enorme. Tra i punti più tenui dell’immagine ci sono alcuni tra gli oggetti più antichi mai visti: a quasi tredici miliardi di anni luce di distanza, queste sono tra gli oggetti più antichi dell’Universo. La loro luce è quella che ha viaggiato fino a noi da stelle che, molto probabilmente, adesso non esistono più.

Molto più che un miracolo di elettronica.

Non è facile rendersene conto, ma un oggetto come il JWST è una meraviglia del mondo moderno. Una volta potevano essere delle gigantesche piramidi costruite con impressionante precisione, o dei rigogliosi giardini pensili di Babilonia coltivati in pieno deserto, a meravigliare il mondo. La loro realizzazione era il culmine di una civiltà: queste opere simboleggiavano la summa delle loro conoscenze scientifiche e tecniche. Avanzamenti senza i quali non sarebbero stati possibili.

Oggi tra le meraviglie moderne c’è anche un telescopio. Grande come un campo da tennis. A un milione e mezzo di chilometri di distanza dalla terra; a meno 230 °C. Ogni singolo aspetto di quest’opera, costata oltre 10 miliardi di dollari è un successo straordinario dell’Umanità.

Ci sono voluti venti anni di lavoro per assemblare tutta la struttura: i diciotto enormi specchi esagonali componibili; lo schermo solare, cinque vele di materiale composito in grado di schermare il telescopio dai 100 °C del suo strato esterno; la migliore strumentazione per rilevare e analizzare i raggi infrarossi. Ognuna di queste componenti doveva essere ottimizzato per ridurre al massimo il suo peso e le due dimensioni: l’intera struttura è stata progettata per ripiegarsi e avvolgersi per essere lanciata.

Lo stesso lancio è stato perfetto: dal 25 dicembre 2021 a luglio 2022, il JWST ha percorso un milione e mezzo di chilometri e si è posizionato stabilmente in uno dei punti di Lagrange tra la Terra e il Sole: in questa posizione, l’attrazione dei due corpi mantiene il satellite in equilibrio. La posizione permette allo strumento di operare ventiquattro ore al giorno senza che i suoi sensori siano disturbati dalle radiazioni elettromagnetiche terrestri o solari. Hubble, il suo predecessore, era sensibile solo alla luce visibile e aveva un tempo di funzionamento di poche ore al giorno, a causa della sua rotazione attorno al nostro pianeta.

Tanto la precisione dell’orbita quanto l’ottimizzazione della progettazione hanno permesso di estendere la vita utile del JWST: progettato con un tempo di poco più di cinque anni, dopo la sua accensione, gli scienziati hanno ipotizzato che possa essere operativo per dieci anni. Arrivato a destinazione, JWST ha iniziato a stendere il telo del suo schermo solare e ad aprire i diciotto specchi, per assumere la forma di una caravella.

L’opera è di grande valore anche per il significato che ha. Al progetto hanno collaborato le agenzie spaziali di Stati Uniti, Unione europea e Canada. Il lancio è avvenuto nella Guyana francese, favorita dalla posizione geografica prossima all’equatore, che permette una minore influenza della gravità.

Immagini da dove nessuno è mai giunto prima.

Ogni pixel delle foto che abbiamo ricevuto ha qualcosa in comune. Per potersi colorare, ha ricevuto dei dati, inviati da luoghi inimmaginabilmente lontani molto prima che noi esseri umani esistessimo. I segnali più antichi sono partiti prima che si formasse il nostro stesso sistema solare. Miliardi di anni dopo, una civiltà remota ha captato un segnale luminoso infrarosso e si è ricostruito immagini da cui trarre informazioni.

Queste azioni straordinarie sono un tributo a tutti i grandi scienziati e agli ingegneri che le hanno rese possibili. Da ciascun campo della fisica, alla chimica, all’industria spaziale e alle telecomunicazioni, il contributo di ciascun ricercatore si poggia e prosegue il lavoro di chi lo ha preceduto per far funzionare strumenti che sembrano nati dalla fantascienza. Può essere una nuova meraviglia tecnologica, come il JWST, come può esserlo stato qualunque tecnologia che oggi ci sembra ordinaria.

Come la luce delle stelle, i pixel di questa pagina ricevono dati partiti da lontano. Si sono formati tra i neuroni di chi ha scritto il testo, sono partiti dalla superficie delle sue dita e hanno attraversato lo spazio terrestre sottoforma di onde elettromagnetiche, per arrivare, attraverso la vostra retina, al vostro cervello.

Nei cavi a fibra ottica, i segnali viaggiano su impulsi luminosi infrarossi, tipicamente a lunghezze d’onda comprese tra gli 850 e i 1550 nm, in modo da ridurre l’attenuazione del segnale. La stessa radiazione infrarossa è quella captata dagli strumenti del JWST, con frequenze che spaziano dai 600 ai 28,500 nm. Per il telescopio spaziale, questa scelta permette finalmente di osservare la luce delle stelle attraverso le dense nubi di polvere intergalattica e di cogliere i segnali primordiali ai confini del cosmo, che per il red shift ci arrivano nelle frequenze infrarosse. Per la telefonia, questa soluzione tecnica ci permette di ovviare ai problemi di assorbimento e diffusione e garantire una trasmissione sulle lunghe distanze. Entrambe le scelte sono frutto di lunghe ricerche e segnano importanti conquiste tecnologiche.

Non solo infrarossi. quando il JWST invia le immagini e la telemetria sulla terra, lo fa usando le onde radio, nella banda Ka, tra i 27 e i 40 GHz. L’atmosfera terrestre permette alle onde radio di viaggiare con facilità per lunghe distanze, come Marconi e Tesla hanno dimostrato. A frequenze più basse, noi che sulla terra viviamo, possiamo usare smartphones e navigare su internet: il 4G a cui siamo abituati, viaggia tra gli 800 MHz e i 2,6 GHz, mentre il WiMax, che permette una copertura internet dove la fibra non arriva, trasmette tra i 3,4 e i 3,6 GHz.

Dove vogliamo arrivare.

Trenta anni fa, internet come lo conosciamo non esisteva. Per un appassionato di astronomia l’alternativa era abbonarsi a un Planetario o a una biblioteca. Hubble era ancora un telescopio miope, in attesa di correzioni e nei libri di astronomia ci si interrogava sulla natura dei Quasar. I primi cellulari si portavano nello zaino e la telefonia correva ancora sui fili di rame.

Oggi ci meravigliamo quando possiamo vedere la presenza di acqua su pianeti che dieci anni fa non sapevamo nemmeno esistessero. Oggi possiamo tenere una videoconferenza con qualsiasi persona sulla terra, a patto che abbia una connessione adeguata: adesso è normale, pochi anni fa ci sembrava fantascienza. La meraviglia per le grandi cose che sappiamo raggiungere si attenua, ma resta la stessa. Resta, come sempre la solita domanda: dove vogliamo arrivare, noi esseri umani, noi appassionati di scienza, e – nel nostro piccolo – anche noi di Fiberdroid? La risposta è sempre la stessa: verso l’infinito e oltre!



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